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Accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico da parte di un ufficiale della Polizia Giudiziaria

Cassazione penale sez.5, del 27 aprile 2023 n. 17551 (accesso abusivo ad un sistemza informatico – accesso per ragioni diverse da quelle consentite  – delitti contro la libertà individuale)

Integra il delitto previsto dall'art. 615-ter, comma terzo, cod. pen. la condotta dell'ufficiale di polizia giudiziaria che acceda alla banca dati interforze in violazione delle procedure interne di carattere autorizzativo e per finalità meramente esplorative, onde acquisire informazioni su colleghi e personaggi pubblici in assenza anche solo di un qualificato sospetto idoneo a stimolare l'attività di iniziativa della polizia giudiziaria.

Responsabilità penale per eventi determinati dalla violazione di norme antinfortunistiche relative a dispositivi di impianti o macchinari

Cassazione penale sez.4, del 17 gennaio 2024 n. 1959 (lavoro – prevenzione infortuni – violazione norme infortunistiche – responsabilità del venditore)

In tema di infortuni sul lavoro derivanti dall'utilizzo di macchine o impianti non conformi alle norme di sicurezza, la responsabilità dell'imprenditore che li abbia messi in funzione senza ovviare alla non rispondenza alla normativa antinfortunistica non fa venir meno la responsabilità di chi ha venduto o ceduto gli impianti o i macchinari stessi.

(Fattispecie relativa a infortunio mortale occorso all'acquirente di un trattore nel corso di un intervento di manutenzione dei macchinari in dotazione al veicolo, bene intrinsecamente pericoloso perché messo in vendita in carenza dei prescritti requisiti di sicurezza).

SE L’AUTOVELOX E’ A MENO DI UN KM LA MULTA E’ NULLA

La Prefettura di Pavia ha ordinato l'archiviazione del verbale di accertamento sanzionatorio a causa del posizionamento dell'autovelox a meno di un chilometro dall'ultimo segnale che indicava il limite di velocità consentito.

Questo è un altro caso in cui un verbale è stato annullato a seguito di deposito di ricorso che evidenziava che l'autovelox non rispettava la distanza minima richiesta. Questa volta, l'ordinanza di archiviazione è stata emessa dalla Prefettura di Pavia.

Nel ricorso è stato evidenziato che l'installazione del rilevatore di velocità fisso non era conforme a quanto stabilito dal Decreto ministeriale n. 282/2017 ai punti 7.5 e 7.6, poiché non rispettava la distanza minima di un chilometro richiesta tra la postazione di rilevamento e l'ultimo segnale stradale, che indicava il limite di velocità consentito. Il Prefetto di Pavia, ritendendo necessario garantire il rispetto dei principi e criteri stabiliti nella Legge 120 del 2010 e nel Decreto del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti n. 282 del 2017, vincolanti per tutti gli Organi Accertatori, e facendo riferimento all'orientamento della Cassazione (cfr. n. 25544/2023) che conferma l'obbligo di rispettare il decreto ministeriale citato, ha disposto l'archiviazione del verbale di accertamento sanzionatorio.

La S.C. riconosce la possibilità di riparare il veicolo anche se il costo è superiore al valore commerciale, purché non ne consegua arricchimento per il danneggiato

Approfondimento su ordinanza Cass. 10686-2023 La S.C. riconosce la possibilità di riparare il veicolo anche se il costo è superiore al valore commerciale, purché non ne consegua arricchimento per il danneggiato (Cass. Civ., sez. III, ord. n. 10686/2023).

Con l’ordinanza n. 10686 pubblicata il 20 aprile 2023, la terza sezione civile della Corte di Cassazione ha recentemente precisato il proprio orientamento su un tema da anni dibattuto in materia di risarcimento del danno da sinistro stradale, relativo alla opportunità per il soggetto danneggiato di optare per la liquidazione in forma specifica – e, quindi, di procedere alla riparazione del veicolo incidentato – anche nel caso in cui i costi di riparazione superino il valore commerciale del mezzo.

Ed invero, con la citata pronuncia la Suprema Corte ha riconosciuto tale possibilità a condizione, però, che ciò non comporti un indebito arricchimento per il danneggiato.

In particolare, la Suprema Corte ha esaminato – e ritenuto fondato – il motivo di ricorso con il quale veniva censurata la liquidazione del danno per equivalente (in relazione, quindi, al valore ante sinistro del mezzo) piuttosto che in forma specifica (in relazione al costo delle riparazioni eseguite) e si è soffermata sul riferimento alla “eccessiva onerosità” contenuto nell’art. 2058 cod. civ., disposizione che prevede, al primo comma, che il danneggiato possa chiedere la reintegrazione in forma specifica, qualora sia in tutto o in parte possibile e, al secondo comma, che tuttavia il giudice possa disporre che il risarcimento avvenga solo per equivalente, se la reintegrazione in forma specifica risulti eccessivamente onerosa per la parte obbligata.

La Corte, invero, valutando sempre opportuno un bilanciamento tra l’esigenza di porre il danneggiato nella condizione antecedente al sinistro e quella di non gravare il debitore di un costo sproporzionato, ha ritenuto che l’eventuale locupletazione per il danneggiato possa costituire elemento idoneo ad orientare il giudice nella scelta della modalità liquidatoria.

Ai fini di una corretta interpretazione ed applicazione dell’art. 2058, comma 2, c.c., quindi, la S.C. ha statuito che “la verifica di eccessiva onerosità non possa basarsi soltanto sull’entità dei costi, ma debba anche valutare se la reintegrazione in forma specifica comporti o meno una locupletazione per il danneggiato, tale da superare la finalità che le è propria e da rendere ingiustificata la condanna del debitore a una prestazione che ecceda notevolmente il valore di mercato del bene danneggiato”.

In altre parole la pronuncia in esame, pur tenendo sempre a mente il rispetto del bilanciamento degli interessi delle parti, autorizza a ritenere che il danneggiato possa preferire la riparazione del veicolo incidentato al risarcimento per equivalente, anche ove il costo superi, anche in misura sensibile, il valore commerciale del veicolo, purchè non ne consegua un indebito arricchimento per il danneggiato, quale si avrebbe in conseguenza di un aumento di valore del mezzo a seguito della riparazione.

Nella medesima pronuncia, la Corte ha altresì considerato che la parte danneggiata potrebbe avere apprezzabili ragioni per preferire la riparazione del proprio veicolo in luogo di un risarcimento per equivalente, ragioni che potrebbero individuarsi, ad esempio, nella difficile reperibilità di un mezzo equipollente sul mercato, nella lunghezza dei tempi e nei rischi insiti nella ricerca di un veicolo simile, che successivamente potrebbe rivelarsi non affidabile come il proprio.

Da ultimo, interessante appare anche il percorso logico seguito dagli Ermellini, nella parte in cui, in tema di costi necessari per la sostituzione del veicolo danneggiato – spese di rottamazione, costi per nuova immatricolazione, bollo non goduto e fermo per recupero analogo mezzo – si è chiarito che “laddove il danneggiato decida -com’è suo diritto- di procedere alla riparazione anziché alla sostituzione del mezzo danneggiato, non risulta giustificato (perché si tradurrebbe in una indebita locupletazione per il responsabile) il mancato riconoscimento di tutte le voci di danno che competerebbero in caso di rottamazione e sostituzione del veicolo”.

I suddetti costi, quindi, nell’ottica di non riconoscere al responsabile una locupletazione per il fatto che il danneggiato abbia optato per la riparazione del mezzo in luogo di un risarcimento per equivalente, dovranno essere risarciti anche ove non effettivamente sostenuti dal danneggiato in ragione della decisione di riparare il veicolo.

RESPONSABILITÀ DA REATO DEGLI ENTI – FATTO DEGLI APICALI – IDONEITÀ DEL MODELLO DI ORGANIZZAZIONE, GESTIONE E CONTROLLO

Cassazione penale sez. 5^, del 19 maggio 2023  n. 21640 ( responsabilità amministrativa derivante da reato – fatto degli apicali – valutazione giudiziale del modello organizzativo, gestione e controllo)

Sul tema di responsabilità delle persone giuridiche per i reati commessi dai soggetti apicali, ai fini del giudizio di idoneità del modello di organizzazione e gestione adottato, il giudice è chiamato ad adottare il criterio epistemico-valutativo della cd. "prognosi postuma", proprio della imputazione della responsabilità per colpa: deve cioè idealmente collocarsi nel momento in cui l'illecito è stato commesso e verificare se il "comportamento alternativo lecito", ossia l'osservanza del modello organizzativo virtuoso, per come esso è stato attuato in concreto, avrebbe eliminato o ridotto il pericolo di verificazione di illeciti della stessa specie di quello verificatosi, non richiedendosi una valutazione della "compliance" alle regole cautelari di tipo globale. (In motivazione la Corte ha precisato che il giudice deve operare una verifica in concreto dell'adeguatezza del modello di organizzazione, gestione e controllo e deve quindi verificare se il reato della persona fisica sia la concretizzazione del rischio che la regola cautelare organizzativa violata mirava ad evitare o, quantomeno, tendeva a rendere minimo; ovvero deve accertare che, se il modello "idoneo" fosse stato rispettato, l'evento non si sarebbe verificato).

C’È CONCORSO DI COLPA DELLA VITTIMA, CAMBIA IL RISARCIMENTO DEL DANNO?

Il danno da perdita del rapporto parentale deve essere liquidato in base al concorso di colpa della vittima.

Infatti la Corte di Appello, ribaltando la sentenza di primo grado, ha ritenuto sussistente il concorso di colpa del 20% della vittima nel causare il sinistro stradale in cui il medesimo perse la vita. Questo ha rideterminato le somme riconosciute ai suoi congiunti a titolo di danno da perdita del rapporto parentale.La Suprema Corte, nel cassare la decisione di appello, evidenzia che è necessario accertare che la colpa ascrivibile alla vittima del sinistro abbia effettivamente inciso nell’eziologia del sinistro rivelatosi mortale (Cassazione civile, sez. III, 12/12/2023, n.34625).

I FATTI
I congiunti della vittima ricorrono in Cassazione per la sentenza n. 1526/21, del 14 giugno 2021, della Corte d’appello di Bologna, che – accogliendo parzialmente il gravame proposto dalla società Assicuratrice Milanese S.p.a. avverso la sentenza n. 2686/14, del 12 agosto 2014, del Tribunale di Bologna – rideterminava il danno da perdita parentale in base al concorso di colpa del 20% della stessa vittima.

Il Tribunale di Bologna, così come il Giudice penale, accertava l’esclusiva responsabilità del sinistro in capo al conducente del veicolo antagonista condannandolo, in solido con l’Assicuratrice Milanese, a risarcire il danno “iure proprio” subito dai congiunti dell’ucciso.

I familiari censurano, dunque, la sentenza di secondo grado che accertava il concorso di colpa – nella misura del 20% – della vittima del sinistro, dando rilievo alla violazione, da parte dello stesso, dell’art. 172 C.d.S.

La censura è fondata.

LE MOTIVAZIONI DELLA CASSAZIONE
‍Il Giudice di Appello, con un ragionamento però in parte viziato, ha seguito l’orientamento secondo cui il risarcimento del danno patito dai congiunti di persona deceduta per colpa altrui deve essere ridotto in misura corrispondente alla percentuale di colpa ascrivibile alla stessa vittima dell’illecito.

Tuttavia, è proprio il carattere colposo della condotta della vittima del sinistro a porsi come presupposto necessario affinché essa possa essere apprezzata come “concausa” del danno patito. Difatti, mentre in ambito penale vige la regola dell’irrilevanza delle cause concorrenti, nel senso che esse non sono idonee ad escludere la responsabilità dell’autore dell’illecito (art. 41 c.p., comma 1), la causalità civile guarda al danno, da cui l’incidenza della concausa umana colposa.

In questo quadro, la colpa, cui fa riferimento dell’art. 1227, comma 1, va intesa come requisito legale della rilevanza causale del fatto del danneggiato. Conseguentemente, la “diminuzione del risarcimento del danno patito iure proprio dai congiunti di persona deceduta per colpa altrui, in presenza di fatto colposo del deceduto, trova fondamento normativo direttamente nella disciplina del fatto illecito, ed in particolare nell’art. 2054, per l’ipotesi della circolazione stradale, dovendo il “cagionare” o il “produrre il danno” essere intesi in termini parziali laddove concorra la concausa umana colposa, sulla base di una lettura unitaria del complesso normativo derivante dall’art. 1227 c.c., comma 1, art. 2054 c.c., e art. 2055 c.c., comma 2.

L'INCIDENZA DEL CONCORSO DI COLPA
Detto in altri termini, è il carattere colposo della condotta della vittima del sinistro a porsi quale presupposto necessario affinché essa possa ritenersi concausa del danno subito iure proprio, dai suoi congiunti.
Ebbene, la Corte di Appello ha solamente verificato l’inosservanza da parte del defunto dell’obbligo di indossare la cintura di sicurezza senza indagare l’effettiva incidenza che tale violazione ha determinato nella verificazione del sinistro mortale.
L’esito della perizia, svolta in sede penale, ha accertato che “l’evento morte si sarebbe realizzato con altissima probabilità anche qualora il conducente avesse regolarmente allacciato la cintura di sicurezza”. Pertanto la condotta della vittima non ha avuto incidenza sulla morte.
La decisione di Appello viene cassata con rinvio e dovrà essere riesaminata alla luce del seguente principio di diritto enunciato dalla Cassazione:
“in caso di domanda di risarcimento del danno iure proprio proposta dai congiunti della vittima di un sinistro stradale mortale, l’idoneità della condotta colposa dell’ucciso a contribuire alla concausazione del danno deve essere apprezzata verificando, sulla base degli elementi probatori assunti a presupposto del giudizio fatto, l’effettiva incidenza avuta sull’evento morte dalla trasgressione della regola cautelare – generica o specifica – allo stesso ascritta“.

FATTURE FALSE PER OPERAZIONI INESISTENTI

Cassazione penale sez. 3, del 19 aprile 2023 n. 16576 (fatture false soggettivamente – operazioni inesistenti – Legge n.74 del 2000)

In tema di reati tributari, il delitto di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti è configurabile anche nel caso di fatturazione solo soggettivamente falsa, in cui l'operazione oggetto di imposizione fiscale sia stata effettivamente eseguita e non vi sia, tuttavia, corrispondenza soggettiva tra il prestatore indicato nella fattura o altro documento fiscalmente rilevante e il soggetto giuridico che abbia erogato la prestazione, in quanto, anche in tal caso, è possibile conseguire il fine illecito indicato dalla norma, ovvero consentire a terzi l'evasione delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto. (In motivazione, la Corte ha precisato che il delitto si configura anche nel caso in cui non sia stato individuato il soggetto che abbia erogato la prestazione e in quello in cui non sia stato accertato che si sia concretamente verificata un'evasione d'imposta).

EFFICACIA ESIMENTE DEL MODELLO ORGANIZZATIVO E GESTIONE AI SENSI DEL D.LGS 231/2001

Cassazione penale sez. 3^, del 22 giugno 2023  n. 27148 ( reati ambientali – responsabilità amministrativa derivante da reato – efficacia esimente del modello organizzativo e gestione - organismo di vigilanza)

In tema di responsabilità degli enti per reati ambientali, il modello di organizzazione e di gestione, per avere efficacia esimente, dev'essere adottato in riferimento alla specifica struttura ed al tipo di attività dell'impresa, prevedendo in modo chiaro e preciso i compiti, le responsabilità individuali e gli strumenti in concreto volti a prevenire la commissione di reati contro l'ambiente, e dev'essere efficacemente attuato, salvi i casi di cui all'art. 6, commi 4 e 4-bis, d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, mediante l'istituzione dell'organismo di vigilanza dotato di concreti poteri di controllo, e la previsione di sistemi di revisione periodica, che garantiscano la tenuta nel tempo di quel modello.

CANTIERE SUPERBONUS SOSPESO: QUALI LE AZIONI A TUTELA DEL CONDOMINIO?

Superbonus e cantiere sospeso, cosa può fare il condominio? Ha affrontato l’interessante questione il Tribunale di Pavia con la sentenza n. 1245/2023.

La vicenda trae origine da una fattispecie oggi molto diffusa, ovvero il caso di un condominio che, in qualità di committente, stipula un contratto di appalto per l’esecuzione di lavori di efficientamento energetico rientranti nel cosiddetto super bonus 110%. Nel contratto venivano concordati gli interventi, i corrispettivi e il termine di esecuzione dei lavori. La ditta incaricata predisponeva il cantiere avviando le opere di competenza, che però venivano sospese ingiustificatamente. Nonostante i ripetuti solleciti e il notevole lasso di tempo trascorso, gli interventi non venivano ultimati.Pertanto, al condominio non rimaneva che ricorrere al Tribunale chiedendo l’esecuzione del contratto con contestuale richiesta di risarcimento dei danni patiti, ed in subordine, in caso di accertamento della impossibilità di esecuzione del contratto, chiedeva la risoluzione dello stesso con istanza risarcitoria.

Nessuno si costituiva per la società convenuta.

Il Tribunale di Pavia, nel giudicare la controversia, anche grazie alla prova testimoniale del direttore dei lavori, ha stabilito che il comportamento dell’appaltatore era ingiustificato così come ingiustificata era la sospensione dei lavori, tanto che il condominio poteva richiedere all’appaltatore l’esecuzione degli interventi come previsto dal contratto.

Oltretutto, il condominio era risultato subire danni economici, dovuti alla sospensione ingiustificata dei lavori, e poteva richiedere all’appaltatore la risoluzione del contratto con istanza risarcitoria.

Il Tribunale ha pertanto ordinato all’appaltatore di riprendere e completare gli interventi di efficientamento energetico, così come da contratto, entro il termine stabilito dal Giudice. In caso di impossibilità di esecuzione del contratto, l’appaltatore era tenuto a risarcire il condominio degli ingenti danni economici subiti.

Importante è quanto stabilito dal Giudice nella parte in cui la ditta è stata condannata anche al pagamento dei danni subiti che possono essere connessi al solo ritardo nella esecuzione dei lavori ed ai relativi maggiori costi sostenuti per le utenze, costi che non sarebbero stati sostenuti ove vi fosse stata la pronta installazione dell’impianto fotovoltaico.

Il Tribunale ha inoltre deciso che il condominio era però tenuto a versare la quota del super bonus al bilancio dello Stato, in base alla legge vigente, e che l’appaltatore non era autorizzato a chiudere il cantiere fino alla presentazione della ricevuta di pagamento del super bonus da parte del condominio.

IL SUPERAMENTO DEL LIMITE DI VELOCITÀ: PUÒ ESSERE DESUNTO O VA ACCERTATO?

Come noto, la velocità massima degli autoveicoli consentita sulle strade è regolata dall’art. 142 del Codice della Strada, all’interno del quale sono indicati i limiti da osservare.

I limiti di velocità “ordinari” prevedono il limite di:
· 50 Km/h in città
· 90 Km/h sulle strade extraurbane di tipo secondario
· 110 Km/h su quelle extraurbane principali
· 130 Km/h in autostrada.

Le lievissime eccezioni di cui il conducente può tener conto fanno riferimento ai limiti di tolleranza derivanti dall’utilizzo di sistemi di rilevamento automatico della velocità (quali, ad esempio, autovelox o tutor autostradali) che, nello stimare la velocità effettiva tenuta dal veicolo, applicano una tolleranza di 5 km/h in più rispetto al limite, qualora di circoli a velocità inferiori ai 100 km/h e 5% in più del limite consentito quando si circoli a velocità superiori ai 100 km/h.

Cosa succede, però, se a “rilevare” la velocità sia un Pubblico Ufficiale senza l’ausilio di alcun sistema di rilevamento elettronico, semplicemente indicandola sul verbale di accertamento della contestazione?
Di recente, la Corte di Cassazione ha chiarito proprio quest’aspetto, rispondendo a un quesito comune tra gli automobilisti.

La natura probatoria del verbale di accertamento
Va premesso che il verbale di accertamento costituisce un atto ricognitivo (cioè mette per iscritto i fatti così come avvenuti nel concreto) e consiste in una dichiarazione attestata del pubblico ufficiale di quanto avvenuto in sua presenza. I fatti, quindi, devono essere descritti senza margini di apprezzamento, conformemente a quanto stabilito nell’art. 2700 c.c., di modo che il documento possa fare piena prova, salvo non si proceda con la querela di falso, cioè lo strumento previsto dalla legge per contestare la veridicità di quanto riferito in un atto pubblico.

L’efficacia di piena prova, tuttavia, non sussiste né con riguardo ai giudizi valutativi espressi dal pubblico ufficiale, né con riguardo alla menzione di circostanze di fatto, qualora queste non siano obiettivamente verificabili e verificate.
Di conseguenza, limitatamente a quelle parti che riportino informazioni semplicemente indicate dagli agenti verbalizzanti, e non anche oggettivamente accertate, il verbale sarà liberamente valutabile dal giudice, il quale avrà facoltà di ammettere le prove contrarie eventualmente dedotte dal preteso autore della violazione.


La vicenda
In un caso recente il Tribunale, in funzione di giudice di secondo grado rispetto alla pronuncia del Giudice di Pace, confermava ad un automobilista la sanzione amministrativa per l’eccessiva velocità di circolazione, che risultava essere stata “accertata”, nel verbale dei Carabinieri, in base alla velocità di 160 km/h indicata dal tachimetro della gazzella in loro uso.
L’automobilista, allora, proponeva ricorso per cassazione, rilevando un vizio nella motivazione della sentenza impugnata nonché la nullità della stessa per violazione delle norme relative all’efficacia probatoria del c.d. “atto pubblico”: cioè, nel caso di specie, il verbale di accertamento della contestazione stradale.

La decisione della Suprema Corte
Ebbene, la Seconda Sezione della Suprema Corte, con ordinanza n. 1106/2022, valutate le circostanze, ha accolto la difesa del conducente in quanto: pur non dubitando che gli agenti abbiano letto sull’indicatore una velocità di 160 km/h, la Corte ha ribadito che “la fede privilegiata non si estende agli apprezzamenti ed alle valutazioni del verbalizzante” o “ai fatti della cui verità si siano convinti in virtù di presunzioni o di personali considerazioni logiche”.

E proprio in questo ambito gli Ermellini hanno fatto rientrare la presunzione secondo cui i 160 km/h letti sul proprio tachimetro corrispondano con certezza alla velocità effettiva del veicolo inseguito.Non risultava, infatti, alcuna altra circostanza dalla quale desumere che anche l’auto del ricorrente, inseguita e poi raggiunta, andasse alla medesima velocità.

Per tali ragioni, la sentenza è stata ritenuta errata nella parte in cui ha affermato che il verbale di contestazione, supportato da circostanze oggettive, indicate dettagliatamente, risultasse correttamente motivato in ordine all’accertamento della “velocità non adeguata alle caratteristiche della strada”.

PIGNORAMENTO, SEQUESTRO E CONFISCA DELL’IMMOBILE OGGETTO DI DONAZIONE A UN FAMILIARE.

Spogliarsi dei propri beni per sottrarli ai creditori o al fisco è un comportamento a volte inutile che rischia di comportare solo spese senza utili vantaggi. Difatti, la legge prevede la possibilità di revocare tali cessioni se finalizzate a frodare i terzi. Una recente sentenza della Cassazione però sembra andare nella direzione opposta, almeno in tema di illeciti tributari. La domanda posta alla Suprema Corte è stata la seguente: si può confiscare la casa intestata al figlio? La risposta è stata negativa.

La revocatoria
Chi intesta la casa al figlio (o a chiunque altro) per sottrarla ad un eventuale pignoramento deve sapere che il creditore può esercitare, entro cinque anni dalla donazione, la cosiddetta azione revocatoria. Tale azione – si parla di una normale causa civile – è rivolta a rendere l’atto inefficace e pertanto a consentire il pignoramento del bene.

Tuttavia, affinché la revocatoria possa essere esercitata è necessario che:
• all’esito della donazione dell’immobile, il debitore rimanga privo di altri beni o, comunque, di beni facilmente pignorabili;
• il debito per il quale il creditore intende agire sia nato prima della donazione;
• l’atto processuale venga notificato al debitore entro 5 anni dalla trascrizione della donazione nei registri pubblici immobiliari.

La denuncia per chi intesta casa al figlio
Chi intesta la casa al figlio
solo per non pagare le tasse o le cartelle esattoriali rischia una denuncia. La legge prevede il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte per chi pone atti di disposizione del proprio patrimonio per sottrarsi al versamento dell’Irpef e dell’Iva. Il reato però scatta solo se il debito è superiore a 50.000 euro per un singolo periodo d’imposta. Fuori da questi casi, il fisco, non potendo denunciare il contribuente, può comunque esercitare l’azione revocatoria di cui abbiamo appena parlato.

Il sequestro e la confisca
Sequestro e confisca scattano normalmente in presenza di illeciti penali, anche se di natura tributaria (si pensi all’evasione fiscale di grosse cifre).
La differenza tra il sequestro e la confisca è notevole. Il sequestro può avvenire quando il bene è il frutto del reato oppure quando si vuole impedire che il titolare del bene possa disporne in modo da evitarne il pignoramento. Il sequestro è di solito una misura temporanea. La confisca è invece definita e comporta l’acquisizione del bene al patrimonio dello Stato che poi può procedere alla relativa vendita.

Secondo la Cassazione, nei reati tributari, non è confiscabile l’immobile intestato al figlio se non esistono prove che si tratti di un trasferimento fittizio volto a sottrarre garanzie in danno all’Erario.
Nel caso di specie, l’amministratore di una società veniva condannato per il reato di omesso versamento Iva. Sicché, nei suoi confronti, veniva disposta la “confisca per equivalente” su alcuni beni immobili. Il contribuente faceva ricorso alla Cassazione sostenendo l’illegittimità della confisca: la casa infatti era stata donata al figlio già prima della confisca stessa. Dunque, l’immobile era da considerarsi di proprietà di una persona estranea al reato. Né c’era la prova che, al momento dell’intestazione, il contribuente era stato mosso da intenti elusivi.
La Cassazione ha innanzitutto ricordato che per i reati tributari è sempre ordinata la confisca diretta del prezzo o del profitto o quando ciò non sia possibile, per equivalente. Essa non può riguardare beni di un terzo estraneo al reato o dei quali il condannato non ha la disponibilità.

La confisca può riguardare non solo i beni di proprietà del contribuente, ma anche quelli nella sua disponibilità, ossia di cui questi abbia il possesso (concetto molto più ampio della proprietà). Sono quindi incluse tutte le situazioni nelle quali il bene è nella sfera degli interessi economici del reo. Tale condizione si verifica anche quando il potere dispositivo sia esercitato tramite terzi, ma in concreto è in capo al reo [2].

Nel caso di specie, il giudice di primo grado aveva confermato la confisca ritenendo la donazione della casa al figlio come strumentale, volta cioè alla sottrazione di garanzie all’Erario. Era stata insomma esclusa la buona fede del donante e dei beneficiari della donazione. Tale conclusione, però, non era supportata da prove, ma si fondava solo su una presunzione: il semplice rapporto di parentela tra le parti. Secondo la Suprema Corte, ciò è insufficiente per poter procedere alla confisca. Difatti, il padre poteva aver realmente trasferito il bene ai figli, senza mantenerne l’effettiva disponibilità. Diverso sarebbe stato invece se, a fronte dell’intestazione della casa al figlio, quest’ultimo non ne avesse avuto alcuna disponibilità materiale mentre nell’immobile avesse continuato a vivere il genitore.
La pronuncia è interessante poiché pare rimarcare la necessità di un’accurata valutazione soprattutto nell’ipotesi in cui il bene da confiscare non sia di proprietà del condannato.

note
[1] Cass. sent. n. 4456/2022 del 9.02.2022.
[2] Cass. sent. n. 34602/2021

IL CONIUGE SEPARATO e LA PENSIONE AI SUPERSTITI

IL CONIUGE SEPARATO - PER COLPA O CON ADDEBITO SENZA DIRITTO AGLI ALIMENTI - HA DIRITTO ALLA PENSIONE AI SUPERSTITI (CIRCOLARE INPS N° 19/2022)

L’articolo 22 della legge 21 luglio 1965, n. 903, riconosce il diritto alla pensione ai superstiti in favore del coniuge superstite. La predetta disposizione normativa non richiede, quale requisito per ottenere la pensione di reversibilità o indiretta in favore del coniuge superstite, la vivenza a carico del dante causa al momento della morte di quest’ultimo, ma unicamente l'esistenza del rapporto coniugale con il coniuge defunto pensionato o assicurato.

Come precisato con la circolare n. 185 del 2015, anche il coniuge separato ha diritto alla pensione ai superstiti. Nel caso di addebito della separazione, lo stesso ha diritto al trattamento in argomento solo se titolare di assegno alimentare. Detta indicazione, nel recepire il contenuto della sentenza n. 450 del 1989 della Corte Costituzionale, subordina, pertanto, il riconoscimento della pensione ai superstiti in favore del coniuge separato, per colpa o con addebito della separazione con sentenza passata in giudicato, alla sussistenza del diritto agli alimenti a carico del coniuge deceduto.

In merito, è stato tuttavia riscontrato che la giurisprudenza costante della Corte di Cassazione, nel richiamare la sentenza della Corte Costituzionale n. 286 del 1987, afferma il principio secondo cui non sussiste alcuna differenza di trattamento per il coniuge separato in ragione del titolo della separazione.

Pertanto, nel caso di separazione, con o senza addebito, trova applicazione l’articolo 22 della legge n. 903 del 1965 che, con riferimento al coniuge superstite, non richiede, quale requisito per ottenere la pensione di reversibilità o indiretta, la vivenza a carico del dante causa al momento della morte di quest’ultimo, ma unicamente l'esistenza del rapporto coniugale con il coniuge defunto pensionato o assicurato.

Secondo tale consolidato orientamento, il coniuge separato con addebito e senza assegno alimentare ha, pertanto, diritto alla pensione ai superstiti in qualità di coniuge superstite (cfr. Cass. n. 2606 del 2018 e n. 7464 del 2019).

Con circolare n° 19 del 01/02/2022, su conforme parere del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, si recepisce il menzionato orientamento costante della giurisprudenza della Corte di Cassazione e si forniscono istruzioni in ordine alla gestione delle domande già presentate o respinte, nonché in merito alla ricostituzione o alla revoca delle pensioni già liquidate ad altre categorie di superstiti.
Pertanto, devono intendersi superate le indicazioni di cui al paragrafo 2.1 della circolare n. 185 del 2015, ove incompatibili con la presente circolare.

RAPINA INDOSSANDO UNA MASCHERINA. SENTENZA CORTE DI CASSAZIONE  

Rapina indossando una mascherina (obbligatoria per l’emergenza da Covid-19) e configurabilità della aggravante del “travisamento del volto”

Cassazione Penale, Sez. II, 17 gennaio 2022 (ud. 3 novembre 2021), n. 1712.

In tema di rapina, segnaliamo la sentenza con cui la seconda sezione penale della Corte di Cassazione ha affermato il principio secondo cui la circostanza aggravante del “travisamento del volto” può dirsi integrata anche dalla condotta di chi abbia commesso il reato indossando una mascherina (e sebbene la stessa fosse obbligatoria alla luce della normativa per il contrasto alla pandemia da Covid-19).

Nel caso di specie – si legge nella sentenza – «il travisamento risulta essere stato materialmente collegato alla commissione del delitto e, comunque, idoneo a rendere difficoltoso il riconoscimento dell’autore del fatto», non essendo, dunque, possibile ritenere tale condotta alla stregua di mero adempimento del dovere.

ASSEGNO UNICO:  ALCUNE IMPORTANTI PRECISAZIONI

Le domande per l’assegno unico universale per i figli arrivate all’Inps sfiorano quota mezzo milione (485 mila), per un totale di quasi 800 mila ragazzi a carico. Il contributo verrà erogato a partire da marzo 2022, a tutti coloro che faranno domanda entro giugno prossimo e l’Inps riconoscerà fino a quella data tutti gli arretrati a partire da marzo, mese in cui non si avrà più diritto a tutti i benefici finora esistenti e assorbiti dall’Assegno unico. Per le domande inoltrate a partire da luglio, invece, l’assegno arriverà dal mese successivo alla domanda e senza arretrati.

La misura sostituisce le detrazioni fiscali per carichi di famiglia e l’assegno per il nucleo familiare (Anf), ed è destinata ai lavoratori dipendenti, agli autonomi, ai pensionati e ai disoccupati (ecco perché è definito “universale”). L’assegno viene riconosciuto per ogni figlio a carico dal settimo mese di gravidanza fino ai 21 anni di età (non vi sono limiti di età nel caso di figli disabili).

La domanda per l’assegno dovrà essere inoltrata ogni anno. Ma chi percepisce il reddito di cittadinanza non dovrà inoltrarla, in quanto l’assegno unico verrà pagato d’ufficio dall’Inps. Per calcolare l’ammontare dell’assegno serve l’Isee, ma la presentazione dell’Indicatore della situazione economica equivalente non è condizione imprescindibile per ottenere il beneficio. Quindi, si ha diritto all’assegno anche senza presentare la documentazione, ma l’importo è quello minimo. Ma attenzione: chi ha un Isee sotto i 40 mila euro ha diritto a importi maggiori dei 50 euro mensili.

Quindi senza Isee si ha diritto a unassegno di 50 euro mensili.

L’Indicatore della situazione economica equivalente (Isee) serve per calcolare l’importo spettante a ciascun figlio, cifra che infatti varia in base alla condizione economica del nucleo familiare, esemplificata appunto dall’Isee valido al momento della domande.

Come cancellare una cartella esattoriale mai ricevuta?

Ti è stata notificata un'intimazione di pagamento da Agenzia delle Entrate - Riscossione ??

Annullamento Intimazione di pagamento ne consegue annullamento Cartella pagamento.

"Il giudicato copre il dedotto ed il deducibile, cioè non soltanto le ragioni giuridiche fatte espressamente valere, in via di azione o in via di eccezione, nel medesimo giudizio (giudicato esplicito), ma anche tutte quelle altre che, se pure non specificamente dedotte o enunciate, costituiscano, tuttavia, premesse necessarie della pretesa e dell’accertamento relativo, in quanto si pongono come precedenti logici essenziali e indefettibili della decisione, così avendosi il giudicato implicito.

Dall’ accoglimento del ricorso discende non solo l’annullamento delle intimazioni, ma anche di quanto costituisce la premessa necessaria delle stesse e cioè le relative cartelle ed iscrizioni a ruolo, dovendosi quindi ripristinare la situazione antecedente gli avvisi di intimazione"

Cassazione Civile ordinanza 35137 del 18.11.2021

IL CICLISTA È RESPONSABILE DEL
INCIDENTE SE NON INDICA IL CAMBIO DI DIREZIONE ALZANDO IL BRACCIO

Anche i ciclisti devono rispettare le regole poste dal Codice della Strada. Anzi, coloro che vanno in bicicletta sono tenuti ad adottare degli accorgimenti ulteriori nel percorrere la strada, in quanto conducono un mezzo più lento e meno visibile di un'autovettura.

A pensarla in questo modo è il Tribunale di Ascoli Piceno che nella sentenza n. 569/2021 che ricorda a chi va in bici di prestare la massima attenzione.

Per il Tribunale di Ascoli Piceno, il ciclista tamponato dal conducente di un motociclo è responsabile se non riesce a fornire la prova di aver rispettato pienamente le regole generali e specifiche che il codice della strada gli impone di osservare e che l’incidente è stato causato interamente o prevalentemente per colpa del motociclista che ha violato una regola di circolazione.

Nel caso di specie, il ciclista non aveva preavvisato con la mano l’imminente svolta, causando di fatto la collisione con il conducente proveniente da tergo.

COME FERMARE UN PIGNORAMENTO GIA’ IN ATTO TRAMITE LA CONVERSIONE

Un creditore ti ha pignorato il conto corrente e adesso non puoi più utilizzarlo?

E’ venuto l’ufficiale giudiziario a casa tua e ha preso la nuova televisione che ti eri comprato o pignorato la macchina che stai ancora pagando a rate?
Ti è stato notificato un pignoramento sull’immobile che abiti insieme alla tua famiglia?

In questi casi probabilmente potresti avere interesse a bloccare la procedura esecutiva e la legge ti offre una possibilità che si chiama istanza di conversione del pignoramento ed è regolata dall’art. 495 del codice di procedura civile.

La conversione del pignoramento è un’istanza con cui il debitore chiede di sostituire, alle cose o ai crediti pignorati (quindi anche il conto corrente o il quinto dello stipendio), una somma di denaro pari all’importo dovuto al creditore pignorante (ed eventualmente agli altri creditori intervenuti).

Lo scopo della domanda di conversione del pignoramento è favorire il debitore che voglia evitare l’esecuzione.L’istanza di conversione, predisposta dall’avvocato, va depositata presso la cancelleria del giudice dell’esecuzione del tribunale competente per il pignoramento, prima che sia disposta la vendita del bene pignorato.

Come ben si può comprendere l’istanza è una richiesta redatta su carta semplice. Insieme ad essa, però, il debitore deve anche depositare una somma non inferiore ad 1/6 dell’importo del credito per cui è stato eseguito il pignoramento (e di quelli degli eventuali creditori intervenuti). Senza il deposito del denaro, l’istanza non produce alcun effetto.

In generale, il giudice dispone il versamento della somma determinata nell’ordinanza, mediante il pagamento a rate della somma necessaria a sostituire il pignoramento. La norma stabilisce infatti che il giudice può disporre che il debitore versi la somma determinata nell’ordinanza con massimo 48 rate.

La rateizzazione può essere disposta sia che l’esecuzione verta su beni immobili che mobili.Con l’ordinanza che ammette la sostituzione, il giudice dispone che le cose pignorate, quando sono costituite da beni immobili o cose mobili, sono liberate dal pignoramento con il versamento dell’intera somma.

Come cancellare una cartella esattoriale mai ricevuta

Divieto di impugnazione dell’estratto di ruolo: cosa prevede la nuova legge e come fare atutelarsi. 

Se ti sei rivolto all’Agente per la Riscossione esattoriale allo scopo di conoscere l’ammontare dei tuoi debiti col Fisco e, quindi, ti sei fatto consegnare l’elenco delle cartelle non pagate; se dalla lettura di tale documento ti sei accorto che sono presenti delle cartelle di cui non hai alcuna memoria; se, dopo un’approfondita ricerca nei tuoi archivi di casa o dell’ufficio, non sei riuscito a trovare alcuna busta che possa rimandare al numero delle cartelle indicate nell’elenco che ti è stato consegnato, allora è verosimile che tu non abbia mai ricevuto la notifica ditali atti. Non devi meravigliarti: succede spesso che le raccomandate vengano smarrite, che il postino sbagli indirizzo nella consegna o che lo stesso Agente per la Riscossione dimentichi di spedirle pur annotandole nei propri elenchi. A questo punto, ti chiederai come cancellare una cartella mai ricevuta? È possibile “togliere” dall’elenco dei tuoi debiti quelli illegittimi per via del difetto di notifica? 

La questione, per quanto possa apparire banale, è stata oggetto di una pronuncia della Cassazione a SezioniUnite e di un recente intervento normativo che ha riformato la materia. La legge ha infatti previsto ciò che viene ormai comunemente definito come il divieto di impugnazione dell’estratto di ruolo, a cui fanno da contraltare solo tre eccezioni. 
Procediamo con ordine.

Indice
• 1 Cos’è l’estratto di ruolo?
• 2 Difetto di notifica cartella esattoriale 
• 3 Come cancellare una cartella non notificata dall’estratto di ruolo
• 4 Quando è possibile impugnare l’estratto di ruolo?

Cos’è l’estratto di ruolo?
Quando, all’inizio di questo articolo, abbiamo parlato dell’elenco dei debiti con il Fisco che ogni contribuente può richiedere presso lo sportello (fisico o online) dell’Agente della Riscossione (sia questo Agenzia Entrate Riscossione che la società privata per i tributi locali), ci siamo riferiti al cosiddetto estratto di ruolo

L’estratto di ruolo altro non è che un’elencazione analitica di tutte le cartelle esattoriali emesse nei confronti di un soggetto. Non solo quelle riferite all’omesso versamento di tributi con le relative more e sanzioni (ad esempio, Irpef, Iva, Imu, Tari) ma anche quelle relative alle multe stradali, ai contributi previdenziali o assistenziali (rispettivamente dovuti all’Inps e all’Inail) e, non in ultimo, tutte le altre somme che il cittadino deve allo Stato, alle Regioni, alleProvince e ai Comuni, anche a titolo di sanzioni amministrative.

Nell’estratto di ruolo viene quindi indicato il numero di ogni cartella esattoriale già notificata, la data di iscrizione a ruolo del debito e quella in cui la raccomandata è stata consegnata al contribuente, la motivazione del debito (appunto il tipo di tributo o di sanzione non pagata) e, chiaramente, l’importo.

Difetto di notifica cartella esattoriale
Anche laddove una cartella risulti inserita nell’estratto di ruolo, non è così scontato che la stessa sia stata consegnata al contribuente dal postino o dall’ufficiale giudiziario. Difatti, l’Agente della Riscossione iscrive il debito nell’estratto di ruolo prima ancora di affidare la raccomandata all’ufficio postale o al messo notificatore.E questo fa sì che, anche qualora vi sia un difetto di notifica della cartella esattoriale, la stessa appaia ugualmente nei terminali e nell’elenco dei debiti del contribuente. 

Questo implica che ben potrebbe essere – anzi è assai frequente – che nell’estratto di ruolo si trovino indicate cartelle illegittime per difetto di notifica

A questo punto, il contribuente si chiederà come sbarazzarsi di un debito che non è tenuto a pagare proprio perché non ne ha mai avuto conoscenza. In altre parole: come cancellare la cartella esattoriale mai ricevuta?

Come cancellare una cartella non notificata dall’estratto di ruolo
Una nota sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione [1] aveva stabilito che, sebbene l’estratto di ruolo non sia impugnabile dinanzi al giudice – in quanto non costituisce un atto formale di riscossione ma una semplice riproduzione degli elenchi contenuti negli archivi dell’esattore – esso sarebbe comunque impugnabile dal contribuente tutte le volte in cui figuri una cartella mai notificata. Così, fino al 2021, è stato possibile rivolgersi al giudice per cancellare dall’estratto di ruolo le cartelle che, benché presenti nell’elenco, non erano mai giunte a destinazione, dunque illegittime.

Invece, un recentissimo decreto legge [2] ha stabilito il divieto di impugnare l’estratto di ruolo. Il cittadino oggi non può più quindi rivolgersi alla Commissione Tributaria(per le imposte) o al Giudice di Pace (per multe e sanzioni amministrative) per far cancellare dall’estratto di ruolo le cartelle mai notificate.

Cosa deve fare quindi il contribuente in questi casi? Salve le eccezioni che a breve elencheremo, che consentono in casi residuali di impugnare l’estratto di ruolo, il cittadino deve attendere l’eventuale successivo passo dell’Agenzia Entrate Riscossione odi qualsiasi altro Agente per la riscossione. Si può trattare ad esempio di un pignoramento(dello stipendio, della pensione, del conto corrente bancario), dell’iscrizione di una ipoteca o di un fermo auto. E solo allora potrà ricorrere contro quest’ultimo atto. Il ricorso si baserà su una tanto semplice quanto forte eccezione: il difetto di notifica della cartella esattoriale.Difatti, se la cartella non è stata mai ricevuta dal contribuente e questi non ha avuto la possibilità di difendersi, contestandola, allora anche gli atti esecutivi (appunto il pignoramento) o quelli cautelari (ipoteca e fermo) sono illegittimi

.Il paradosso di questa situazione sta nel fatto di aver cancellato ogni difesa preventiva del contribuente il quale, oggi, per poter cancellare un debito a proprio nome deve “sperare”che l’Esattore avvii un’azione nei suoi confronti. Cosa però che potrebbe non avvenire mai se il debito dovesse essere caduto in prescrizione (l’Esattore sa infatti che se agisse perderebbe il giudizio); e, in questo caso, ben potrebbe succedere che la cartella resti in elenco a tempo indefinito. Salvo intervenga magari una rottamazione.

Una soluzione “pacifica” potrebbe essere quella di presentare un ricorso in autotutela ossia un’istanza di cancellazione all’Agente per la Riscossione esattoriale e all’ente creditore(quello cioè a cui il credito si riferisce: ad esempio, Agenzia Entrate, Inps,ecc.), chiedendo la cancellazione dall’estratto di ruolo della cartella per difetto di notifica. Ma non è detto – né è obbligatorio che ciò succeda –di ottenere una risposta. Né è possibile fare qualcosa contro il silenzio dell’amministrazione. 

Il contribuente deve convincersi comunque che l’estratto di ruolo non costituisce altro che un elenco, che non potrebbe mai giustificare contro di lui un pignoramento se vi sono dei debiti illegittimi.Quindi, per dormire sonni tranquilli, egli dovrà far finta che sull’estratto non siano indicate le cartelle non notificate.

Quando è possibile impugnare l’estratto di ruolo?
Il decreto legge appena menzionato elenca tre casi eccezionali in cui è possibile impugnare l’estratto di ruolo.Sono ipotesi che si riferiscono per lo più ad aziende e che non incidono sul contribuente persona fisica. Ciò succede quando vi è: 
• pregiudizio per la partecipazione a una procedura di appalto;
blocco di pagamenti da parte della Pubblica Amministrazione;
• perdita di un beneficio nei rapporti con una Pubblica Amministrazione.

Questo però potrebbe complicare le cose. Non è infatti detto che, prima di partecipare al bando, si faccia in tempo ad ottenere una sentenza di cancellazione della cartella dall’estratto di ruolo. Né la sospensiva – che la Commissione Tributaria o il giudice concedono peraltro raramente in attesa di emettere la sentenza definitiva – equivarrebbe a una effettiva cancellazione. 

Insomma, anche in questi casi, la tutela del contribuente sarà tutt’altro che agevole. 

NOTE
[1]
Cass. S.U. sent. n. 19704/15
[2] Decreto legge n. 146/2021.